venerdì 26 luglio 2013

Come restare uniti nella lotta alle trivellazioni – chiacchierata con il Coord. NO TRIV

Pubblicato su Unchainedonline.org (leggi articolo originale)

C’è tanta carne a cuocere in questo luglio lucano: dalla seconda assemblea nazionale NO TRIV a Giulianova (TE), al dibattito sul ruolo dei movimenti alle elezioni di novembre, fino a tutte le vertenze che si aprono sui territori, dal Centro Oli di Viggiano al cementificio/inceneritore di Matera.
Pubblichiamo l'intervista integrale che Unchained ha realizzato a Francesco Masi, professore di storia dell’arte, ma soprattutto importante esponente del Coordinamento Nazionale NO TRIV. 
Francesco, lunedì 15 luglio si è tenuta a Giulianova (TE) la seconda assemblea NO TRIV, a un anno esatto dalla due giorni di Pisticci. Puoi dipingere un quadro dell’assemblea? Quali sono stati i “temi caldi”?
Dall’anno scorso ad oggi sono accadute tante cose che hanno inciso fortemente sull’iniziativa no triv. Basti citare, nei termini dei 6 mesi previsti dall’art 16 del Dl per le “liberalizzazioni” (che prevedeva, con votazione  a scatola vuota da parte di un parlamento bue, entro Settembre 2012 la relativa decretazione con regolamenti attuativi), la pubblicazione della bozza della SEN (Strategia Energetica Nazionale), la conversione in legge del cosiddetto decreto sviluppo Italia (ora L 134/012), che con l’art 35 rimette in gioco una serie di permessi bloccati dall’ex ministro Prestigiacomo nel 2010 a seguito del devastante “incidente” BP del Golfo del Messico, mentre con l’art 38 accelera il processo di decisione ed affidamento  con modalità apertamente “forzate”. E’ sempre più chiaro a tutti che il ruolo delle regioni sta diventando via via più marginale, basti ricordare che a metà dello scorso Ottobre era già disponibile una bozza di proposta di revisione del Tit V della Costituzione finalizzata a rafforzare i poteri dello Stato a discapito dei poteri concorrenti regionali in materia energetica. E’ essenziale avere presente questo quadro sintetico, per poter valutare quanto nell’assemblea di Giulianova, a differenza di un anno fa, il riferimento diretto all’azione governativa sia oramai ineludibile patrimonio comune. Le differenze sono dettate soprattutto dalle priorità e dalle specificità delle lotte territoriali, come ovvio.
I lombardi soffrono soprattutto la minaccia dei gasdotti SNAM , della Halliburton, della Schlumberger, dello stoccaggio di miliardi di metri cubi di gas in sovrapressione in zone densamente popolate, condannati allo stress permanente da un MISE che addirittura “regola” per decreto la magnitudo della sismicità indotta in territori caratterizzati da doppie faglie altamente sismiche. Emergenza, insomma, ma scarsa centralità del ruolo della Regione nei discorsi ascoltati, quanto necessità di risposte parlamentari. I siciliani hanno la necessità di uscire dalla dimensione storica di hub energetico, di superare divisioni interne tra chi pensa di rilanciare occasioni di “sviluppo” con le royalties, così come le differenze tra chi si interessa di on shore o di off shore, ma, data la cosiddetta specialità statutaria dell’autonomia regionale, sono particolarmente interessati a cambiare la L Reg 14/2000 in materia di permessi di ricerca, prospezione, produzione, che è addirittura peggiore di quanto preveda il combinato disposto delle leggi “continentali” e UE in materia. In Sicilia quindi centralità della Regione. Centralità che nella percezione diffusa tra i movimenti abruzzesi, campani, lucani, in verità continua a sussistere in maniera rilevante, ma su un piano inclinato decrescente.
Cito l’ordine del giorno diffuso prima dell’assemblea di lunedì: “L’analisi e la valutazione politica che se ne trarrà sarà conseguente al dibattito sullo sviluppo e centralità del Coordinamento nazionale No Triv e delle problematiche energetiche in relazione alle dinamiche della crisi in atto e della valutazione del rapporto tra quadro politico/normativo UE e nazionale in materia estrattiva, energetica, ambientale.” In queste righe sembra si legga una forte visione di critica al sistema neoliberista. Credi che in seno all’intero Coordinamento sia già forte questa coscienza anticapitalista o reputi che vada rinforzata? E soprattutto, come?
Il Coordinamento rappresenta il progetto vivente di portare a sintesi politico-programmatica realtà attualmente per lo più sparse, spesso incardinate alla logica dell’obiettivo immediato, a volte soggette alla voglia di apparire, al narcisismo politico, etc. A tenere insieme realtà e vertenze diverse tra loro per natura, dimensione, capacità organizzativa, cultura politica, consapevolezza critica, ci pensa l’accelerazione in senso centralista ed autoritario dello Stato, mentre la capacità di ricomposizione orizzontale passa attraverso sforzi di tipo soggettivo, che significano saper guadare paludi, situazioni spesso stagnanti e consolidate, indisponibilità al dialogo ed al confronto organizzativo etc. Se non si tiene conto di tutto ciò si finisce per avere del Coord. un’immagine distorta. Il dibattito interno è attraversato di certo da una coscienza anticapitalista ed antiliberista, non fosse altro perché i militanti di ogni comitato od associazione (mediamente pochi, purtroppo) vivono quotidianamente il rapporto immediato con i fossili e con il processo infrastrutturale di trasporto, trasformazione, stoccaggio, distribuzione, per quello che è, cioè merce. La filiera di produzione e distribuzione della merce energia mercifica a sua volta territori, saperi, linguaggi, culture. Basta partire dal caso kazaco, che ha coinvolto il Ministero degli interni italiano, per capire che chi esercita un pezzo importante di potere sulla determinazione politica interna ed internazionale è indubbiamente l’Eni di Scaroni. A S. Foca come a Sulmona e a Minerbio, così come a Ferrandina, a Pisticci  a o a Bordolano, chi si oppone alle infrastrutture del gas della Gazprom sa di cosa si tratta. Qui si toccano con mano pezzi di geostrategie (ultimo l’affare TAP) e gli stessi referenti politici e tutori degli interessi energetici e finanziari multinazionali sono sempre più senza ombre. Il Coord in tutto questo sta tentando di impostare cicli di campagne per rafforzare da un lato forme di inclusività larga, dall’altro di accrescere il ruolo di pungolo e di organizzazione di una piattaforma programmatica apertamente centrata sull’obiettivo e sulla pratica della transizione ad un modello energetico decentrato, leggero, controllato dal basso, non alienato. Per fare questo a Giulianova sono state  proposte le seguenti campagne:
  • mobilitazione in appoggio alla campagna nazionale contro la pratica della fratturazione idraulica (fracking);
  • campagna di valutazione della situazione di liquefacibilità dei suoli, della compatibilità della presenza degli stoccaggi di metano e della conseguente pratica, a cicli semestrali alternati di immissione, a forti pressioni, di fluidi nel sottosuolo e della loro estrazione, soprattutto in zone a conclamata presenza di sorgenti sismogeniche attive puntuali (ITIS) e composite (ITCS);
  • iniziative a carattere locale e nazionale per sollecitare un passo di cambio parlamentare per la modifica dell’art 35 L 134/2012, l’abrogazione dell’art 16 del DL “Liberalizzazioni” e dell’art  38 della L n 134/2012;
  • campagna informativa locale e nazionale per l’acquisizione di dati certi e verificabili su quantità e fonte dell’energia effettivamente prodotta e messa a confronto con l’energia necessaria (riferimenti pre/crisi, attuali, previsioni), con analisi per settori, provenienza, consumo, destinazione, basata sulla critica degli assunti e degli obiettivi della SEN;
  • redazione collettiva, a partire dalle lotte territoriali, di un “libro bianco” della resistenza No Triv in Italia, per condividere e confrontare utilmente esperienze e saperi lungo la filiera della lotta agli idrocarburi, dalla richiesta di permesso alla pompa di benzina, alle discariche di smaltimento;
  • redazione di una sorta di “vademecum di difesa No Triv”, contenente indicazioni operative e normative a disposizione di tutte le realtà (associazioni, singoli, comitati, amministrazioni locali) che dovessero avere la sventura di incappare in richieste di permesso;
  • prosecuzione della campagna iniziata lo scorso inverno “Energia, Ambiente, Costituzione”.
Mentre in tutta Italia prendono forza movimenti di opposizione in difesa dei territori (basti pensare ai NO MUOS, i NO PONTE, i NO RADAR e, ovviamente, i NO TAV), in Basilicata il Coordinamento NO TRIV, seppur riuscendo a rompere il velo di silenzio e clientelismo steso sulla questione, non è riuscito a creare ancora coscienza sociale o quantomeno propensione verso la lotta contro le estrazioni. A tuo avviso, sarà questa la grande sfida dell’anno prossimo? E con quali dinamiche?
Non è la prima volta che le lotte che tu hai elencato vengono accomunate tra loro, così come non è certo la prima volta che i NO TRIV vengono suggestivamente accomunati a movimenti con cui il semplice rievocare la comune base di riferimento di difesa di beni primari quali il territorio, l’aria, l’acqua, compreso forme di produzione eco-compatibili e “tradizionali” diffuse, risulta alla prova dei fatti non essere esaustivo. I No Triv hanno con ognuno di questi movimenti tratti ed elementi comuni inconfutabili. Si potrebbe aggiungere al tuo elenco il riferimento al Coord. Naz. per l’Acqua Pubblica, al Coord. Naz. Antinuclearista, così come è bene ricordare l’importanza di movimenti quali i No Carbone ed i No Enel (con riferimenti internazionali come le lotte contro la costruzione di dighe in America Latina per produrre energia devastando colture e culture). Il tema estrattivo in Basilicata è uno dei temi centrali nel dibattito politico trasversale a tutti i livelli, ma come ben sappiamo anche tra chi si oppone apertamente alle estrazioni sono molte le questioni da chiarire e da portare a sintesi. La complessità è alta, altrettanto lo sono le contraddizioni. Non solo per quanto concerne il dibattito su royalties o meno (c’è anche chi propone l’incremento delle royalties per l’acqua utilizzata nel ciclo estrattivo, ad esempio), ma soprattutto perché l’uso predominante del ricatto della crisi agisce alla radice dei processi politici, delle decisioni che riguardano l’identità del modello di “sviluppo”, così come la stessa ragion d’essere dell’ente Regione in quanto tale, schiacciato nella duplice morsa del ricatto di cluster ed hub energetico e di contribuente indiretto all’accrescimento del volume di introiti fiscali dello Stato tramite raddoppio della capacità estrattiva diretta. Forte è il retaggio “sviluppista” che costringe i più, a volte anche in buona fede, a sentirsi senza via d’uscita di fronte al tam tam del ricatto estrattivo-energetico prospettato autoritativamente quale chiave di ripartenza in funzione antirecessiva.
E’ il “Totem Nero” di cui parla Enzo Alliegro, antropologo della Val D’Agri, nel suo recente corposo volume così titolato. Nonostante la devastazione di aria, di acqua, di attività di produzione agricola e zootecnica di pregio, dove si estrae petrolio e gas in Basilicata la proposta recente di Vito Petrocelli (senatore M5S di Matera) di abolire le royalties non viene accolta come liberatoria, anzi! Siamo di fronte al persistere antistorico di una sorta di effetto percettivo da “accumulazione originaria”, che a ben vedere costituisce il vero legante di base che accomuna Total, Eni, Shell, etc, non solo alla stragrande maggioranza governativa del memorandum, ma ad una articolata rete di subappalti, di trasportatori, di piccoli gestori dei servizi, di commercianti, di occupati a termine, ma soprattutto alle consorterie della triplice sindacale. Quando la stessa Cgil propone ufficialmente in pompa magna il piano Operativo Val d’Agri come modello da “imporre” anche a Tempa Rossa alla Total, bisogna saper trarre le dovute conclusioni. La Cgil insegue Cisl, Uil, Ugl, sul terreno dei petrolieri, limitandosi a fare episodicamente dei distinguo, ma senza mai mollare la rotta comune, in cui non c’è spazio, nonostante la retorica sulla “sicurezza” e vaghi richiami “landiniani” ad un nuovo piano per la mobilità, per la critica alla SEN dei fossili, tantomeno per orientare (come si diceva pochi decenni fa) le “masse” verso un modello autocentrato alternativo fondato sulle bonifiche e sulle rinnovabili pulite. Dal canto suo, il Coord No Triv, non essendo un ulteriore collettivo o comitato, in tutto questo proverà a far vivere le campagne di cui sopra, per consolidare il terreno comune, senza ovviamente grandi illusioni, nella consapevolezza di essere tra l’altro una sorta di termometro della disponibilità ad adeguare strumenti e linguaggi alla situazione di dominio capillare che un blocco sociale che va dalla Confindustria alle grandi confederazioni sindacali riesce a riprodurre e a garantire.
Durante quest’ultimo anno, dalla sua nascita a oggi, il Coordinamento NO TRIV ha saputo inglobare al suo interno tantissime associazioni, reti di cittadini e movimenti provenienti da tutta Italia. Eppure in Basilicata non tutte le realtà sono confluite in questa esperienza. Dalla nostra, vediamo spesso soggetti permalosi, scarsamente interessanti a condividere un percorso di lotta e decisi a rimanere nella propria nicchia e nelle loro opposizioni puramente “testimoniali” (per usare un eufemismo!). In questo modo si sono create e consolidate realtà preparatissime nei rispettivi campi d’azione, ma incapaci di mettere in condivisione conoscenze e peculiarità. Tu come giustificheresti ciò? E cosa si dovrebbe fare per risolvere questo problema?
Il punto è che ad oggi nella nostra regione la composizione sociale dei cosiddetti “movimenti” risente fortemente della scomparsa di un consolatorio e rassicurante quadro politico/istituzionale dicotomico. Le soggettività abituate alla critica anticapitalista ed alla logica del conflitto restano di fatto minoritarie ed inefficaci, mentre cresce il numero di “orfani” disorientati dal subissamento di un quadro a lungo collaudato, artificiosamente sostituito da quel blob che ben conosciamo, non a caso  denominato  “partito regione”, vero polipo tentacolare che non lesina di certo nell’esibire tramite le pratiche clientelari e personalistiche il vero assunto continuista della propria democristianità sostanziale. Per venire incontro alle questioni che tu giustamente stai ponendo, ritengo fondamentale invitare quanti avessero davvero voglia di confrontarsi su temi cruciali come questi, a considerare cosa è accaduto nei 5 mesi che legano il Novembre 2003 ai 21 giorni della “primavera di Melfi”, passando per la lotta per la deviazione dell’elettrodotto a Rapolla. Mai verrà sottolineato a sufficienza l’apporto ed il supporto fornito da quante e quanti avevano solo due anni prima saputo condividere bisogni, linguaggi, pratiche, utopie, nel percorso che ha portato nel 2001 addirittura a Potenza il Social Forum nazionale (e di rappresentanze di paesi del Mediterraneo), quindi alla macelleria del Luglio genovese.
Una stagione di valorizzazione politica collettiva, in cui interi segmenti sociali prima scarsamente comunicanti hanno iniziato a sapersi parlare ed a condividere tratti di strada e forme potenziali di organizzazione. Altrettanto importanti sono le conseguenze delle sconfitte dei cicli di lotta di quegli anni (così come insopportabile mi appare la retorica per Scanzano), perché oltre alle conseguenze che agiscono come ferite nella carne viva delle attese, contano – e come! – le interpretazioni e le narrazioni dominanti. Su tutto, ancor oggi (processo per di più fortemente aggravato dal ricatto occupazionale e da una complessiva accettazione di forme di controllo individualizzato), prevale una forte afasia, lo smarrimento di una bussola interpretativa e linguistica diffusa. E’ in questo spazio vuoto che ha gioco favorevole l’allignamento di nuove e pericolose forme di populismo qualunquista e un po’ sfigato. Voglio dire che in questo spazio confuso tutti si sentono autorizzati ad usare le questioni ambientali, anche la stessa vicenda estrattiva, per guadagnare visibilità, per creare relazioni, per sentirsi legittimati, riciclati, a volte magari per semplici scopi elettorali o addirittura per rafforzare con qualche distinguo rendite di posizione ed equilibri tra correnti di partito. Più grave invece il corto circuito all’interno dell’arcipelago No Triv, perché testimonia un malessere profondo sul piano delle relazioni politiche ed umane. Cosa fare? Quando si pensa di occupare un pezzo (o peggio una piccola “nicchia”, come tu dici) di un campo di conflitto così vasto e complesso, ma caratterizzato dalla certezza della perfidia e della potenza dell’avversario, credendo di “poter fare da soli”, si è smarrito, insieme al necessario senso di fiducia e di fratellanza che dovrebbe caratterizzare chi si sente accomunato dagli stessi bisogni, il senso stesso delle proporzioni e della motivazione alla lotta. Non esistono “divisioni del lavoro” auto assegnate che possano essere funzionali ed efficaci, se non sono parte di un processo costituente condiviso e dichiarato. Da questo punto di vista No Triv in Basilicata è osteggiato ed amato al tempo stesso, ma mai in modo inequivoco ed aperto. I rapporti sono spesso sfuggenti, i perimetri labili e mobili. Bisogna insistere, saper condividere, saper nominare le questioni, saper condurre insieme battaglie e campagne, sempre nel rispetto delle proprie specificità. A breve (possibilmente prima che la SEN venga convertita e cristallizzata nel documento economico e di programmazione finanziaria del Governo) dovremo fare un appello a tutte le componenti lucane (a costo di bussare una a ad una a tutte le porte) per decidere se si vuole davvero fare tutti insieme un salto di qualità. Scorciatoie al riguardo non ne vedo.
NO TRIV ovviamente non significa solo opposizione alle trivelle, ma difesa dell’intero territorio. È notizia di questi giorni la volontà della Italcementi s.p.a. di incrementare l’incenerimento di rifiuti nella sede di Matera. Gli stessi proprietari dello stabilimento hanno dimostrato chiaramente di essere decisi nel portare avanti questo progetto a tutti i costi. Credi che da questa situazione si possa finalmente aprire un conflitto reale, quantomeno relativamente al materano?
La Italcementi, come tutte le compagnie multinazionali, è indubbiamente dietro la forte operazione di lobby  che ha spinto per la proposta di legge di inizio Gennaio “Utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS) in cementifici soggetti al regime dell’autorizzazione integrata ambientale”, ma responsabili della legge sono Camera e Senato. Sarebbe stato curioso che l’Italcementi s.p.a. non avesse avanzato (come ha tempestivamente fatto a Maggio) richiesta di incremento della produzione ed utilizzo di monnezza per abbassare i costi, avvalendosi del procedimento autorizzativo unico necessario ai cementifici per bruciare rifiuti  in sostituzione parziale dei combustibili fossili. Tutti sanno che i cementifici sono di fatto inceneritori non autorizzati che vengono in molti casi utilizzati dalle stesse amministrazioni comunali per abbassare i costi di smaltimento. Tutti sanno che sono impianti di per sé estremamente inquinanti, i cui limiti di legge per le emissioni sono enormemente più permissivi e soggetti a deroghe rispetto a quelli degli inceneritori classici. Considerando solo gli NOx, per un inceneritore “tradizionale” il limite di legge è 200 mg/Nmc, mentre per un cementificio è tra 500 e 1800mg/Nmc; un cementificio produce inoltre mediamente il triplo di CO2 rispetto a un inceneritore classico. Tutti (almeno chi abita nei pressi di un cementificio) sanno che in determinate fasce orarie si bruciano pneumatici e rifiuti di ogni genere; che i livelli di diossine nell’aria sono allucinanti e dannosi; che gran parte del combusto tossico resta nel prodotto finito, mettendo a grave rischio di salute lavoratori e cittadini lungo tutta la filiera cementizia. A Matera si è risposto formando il comitato civico “No inceneritore a Matera – Mento sul Cemento”, che raccoglie cittadini e numerose associazioni della città. Il comitato ha inviato nei termini (che scadevano pochi giorni fa, il 16 Luglio) all’ufficio ambiente della Regione Basilicata le proprie osservazioni contro il rilascio a Italcementi s.p.a. della richiesta autorizzazione AIA/VIA, per evitare di passare da 12 mila a 60 mila tonnellate annue di rifiuti inceneriti.  Sappiamo con sconcerto che l’Italia è il paese europeo col maggior numero di cementifici e che questi causano tumori, malattie respiratorie, leucemie, ai residenti nei territori limitrofi, in particolare in età pediatrica. Per anni a Barile si è battuto un comitato, senza ottenere grandi risultati, ma producendo forti divisioni interne ed accuse reciproche. Se si assume la prospettiva della normativa UE, in particolare la recente raccomandazione del Parlamento Europeo (A7-0161/2012, adottata a Maggio 2012), che invita a rispettare la gerarchia dei rifiuti e ad intraprendere entro il prossimo decennio  la strada dell’abbandono delle pratiche di incenerimento di materie recuperabili in altro modo, si potrebbe favorire la politica per la transizione dal concetto di rifiuto a quello di risorsa, con progressiva riduzione della quantità di rifiuti prodotti ed una concreta politica di riutilizzo della materia con uso del trattamento a freddo e relativa costruzione di una vera e propria filiera industriale capace di generare posti di lavoro legati alla ricerca, al riuso, alla trasformazione, alla commercializzazione della materia prima/seconda e di semilavorati legati alla bioedilizia ed alle infrastrutture. Compito primario del comitato materano è paradossalmente – a fronte dei palesi fallimenti della gestione rifiuti delle amministrazioni comunale, provinciale, regionale – quello di pretendere ed imporre l’agenda prevista dalla normativa UE. La protervia con cui il ceto politico “nostrano” è incardinata all’opzione inceneritoria. Se l’opzione rifiuti e combustione zero riesce a diventare operativamente dominante a Matera, a Potenza, a Barile, grazie ad una intensa a partecipata campagna condotta in sinergia da tutti i movimenti lucani, allora sì che a Matera sarà possibile farcela, perché saremo riusciti tutti ad andare oltre. Lo scorso 16 Luglio si è tenuta nell’Università di  Teramo un convegno di alto livello tecnico/giuridico per analizzare il corpo della sentenza della Corte Costituzionale sul c.d. “decreto salva Ilva”. Colpiva, per il suo carattere quasi evocativo e rivendicativo, il titolo sopra ogni cosa:  “Taranto è in Europa! La sentenza della Corte costituzionale sul decreto “Salva-Ilva” e la politica ambientale dell’Unione europea”.
Domanda direttissima, in chiusura: quale pensi debba essere il ruolo dei movimenti alle elezioni regionali di novembre e come vedi i tentativi che si stanno già facendo per la formazione delle liste?
Provo a darti una risposta diretta quanto la domanda. Nella nostra regione i movimenti sono ancora troppo parcellizzati e deboli. Spesso tengono grazie alla caparbia di pochi individui, ma dialogano poco tra loro. Per poter pensare di praticare una seria opzione politica non basta evocare scandali e vuoto politico lasciato da una classe dirigente litigiosa e corrotta. Necessita la condivisione di un percorso di ascolto reciproco, ma soprattutto necessita alzare il livello del confronto critico e dell’analisi per poter addivenire all’individuazione di pochi ma incisivi terreni di coinvolgimento e di propaganda. Non da ultimo, non può bastare un generoso slancio di volontarismo soggettivista. Il quoziente organizzativo e di consenso potenziale lo si registra a partire dal radicamento di strutture stabili e dall’appoggio di consistenti settori sindacali, che al momento sono irrisori, almeno quanto le fragili dotazioni economiche disponibili. Sarebbe meglio concentrarsi sugli aspetti organizzativi e formativi per gestire insieme le necessarie campagne di mobilitazione, piuttosto che cercare illusorie scorciatoie elettorali a questioni molto più complesse. Se le cose dovessero andare come sembra, rischieremmo una guerra fratricida della ricerca all’ultimo voto, strappandoselo di mano anche a costo dell’inganno e dell’ingiuria. Si tratterebbe infatti di contendersi un bacino minoritario di voti tra soggetti che agiterebbero un programma elettorale molto simile tra tre se non quattro liste! Mai come adesso direi che la verità è rivoluzionaria. Andrebbe fatto un appello politico formale a tutti i “formatori di liste” per un confronto serrato (anche feroce, se serve) per mettere in chiaro che una sconfitta elettorale cocente a novembre avrebbe l’effetto di depotenziare l’iniziativa dei movimenti, di allontanare la prospettiva di possibili collaborazioni e convergenze, mentre va con urgenza stabilita una scala di priorità delle iniziative comuni da intraprendere, sforzandosi di costruire una strategia ragionevole dignitosamente all’altezza della situazione.

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