mercoledì 31 luglio 2013

Enel e la questione Monte Amiata

Pubblicato su Altraeconomia.it (leggi articolo originale)


Chi arriva sul Monte Amiata, ammira i suoi 1738 metri, scopre la sua storia di antico vulcano, coglie i paesaggi mozzafiato coronati dai faggi, i profumi intensi, il verde, il giallo ed il marrone, tutto si aspetta tranne che l'area viva una querelle ambientale. La disputa riguarda le centrali geotermiche di Bagnore, che per l'Enel sono una fortuna. 
Velio Arezzini, consigliere di minoranza del Comune di Abbadia San Salvatore, e capogruppo della lista civica "Per Abbadia", ricorda che sull'Amiata si parla di geotermia già dalla fine degli anni Cinquanta. Sullo sfondo, un rapporto “contrastato” tra il gruppo multinazionale italiano ed il territorio amiatino, incastonato tra la Val d'Orcia, la Maremma e la Val di Chiana, nelle province di Grosseto e Siena.
Dapprima -sul finire degli anni Ottanta- i comuni dell'area riescono a bloccare il Piano di sviluppo “Enel 2000”, che prevedeva la perforazione di decine di pozzi e la messa in opera di ben 22 centrali.
Nel 2007, però, avviene il dietrofront: le amministrazioni di Arcidosso, Castel del Piano, Castelnuovo Val di Cecina, Chiusdino, Montecatini, Val di Cecina, Monterotondo Marittimo, Monteverdi Marittimo, Montieri, Piancastagnaio, Pomarance, Radicofani, Radicandoli, Roccalbegna, San Casciano dei Bagni, Santa Fiora -cioè tutte, ad eccezione di Abbadia San Salvatore- firmano un Protocollo d'intesa con Enel e Regione Toscana. Con loro anche 5 Comunità montane (Amiata Grossetana, Amiata Val d’Orcia, Colline Metallifere, Val di Merse e Val di Cecina) e 3 Province (Grosseto, Pisa, Siena). Sul piatto “una previsione di sviluppo di ulteriori 200 MW, tenuto conto del programma Enel per il quinquennio 2007/2011, che prevede interventi per 112 MW”, nonché indennizzo. 

Entro e non oltre il 2024 questi 200 MW andrebbero sommati a una potenza già installata pari a 810,5 MW. Con il primo step di 122 MW da raggiungere entro il biennio 2013-2014, come confermato nell’ultimo protocollo firmato il 2 maggio scorso.

A fronte di questi numeri, le compensazioni ambientali che Enel dovrebbe versare sarebbero di circa 14 milioni di euro all’anno al raggiungimento di 112 MW, e 19,7 milioni di euro all’anno al raggiungimento di 200 MW. 
I Comuni incasserebbero pertanto una somma annuale variabile tra i 900mila euro ed 1.300.000 euro. Al massimo per un decennio.
L’investimento totale di Enel, tramite la sua controllata Enel Green Power, sarebbe di 400 milioni di euro. Per farlo servono nuovi pozzi e nuove centrali. 

Nel 2012 a Piancastagnaio (Grosseto) sono cominciati i lavori di perforazione di sei nuovi pozzi geotermici con l’obiettivo di raggiungere 60 MW di produzione dagli attuali 40 MW. A Santa Fiora invece, non molto distante dalla centrale “Bagnore 3” da 20 MW -realizzata nel 1998 su progetto architettonico di Stefano Boeri- sta per nascere la “Bagnore 4”. 
Una megacentrale da 40 MW ed un megacantiere che ha scavato l’Amiata, tra gettate di cemento e tubi, come enormi solchi sul viso di una terra che nel passato ha assistito anche allo sfruttamento dei suoi giacimenti minerari di cinabro, da cui per secoli si è ricavato il mercurio. Ferro e spianate, quando invece il verde avrebbe bisogno di protrarsi verso il basso.
Una ferita che Otello Balducci, del coordinamento “Sos Geotermia”, mi mostra dalla sua macchina, da un punto di vista privilegiato, da dove è possibile scattare foto e vedere la polvere che mangia le foglie. Con “Bagnore 4” Enel porterà a termine la prima parte del suo piano condiviso con la Toscana, sottolineando come in questa regione “gestisce uno dei più grandi complessi geotermici del mondo con 34 impianti”. Ma, mentre a Larderello festeggeranno i 100 anni della prima centrale geotermica, i cittadini sono preoccupati per gli impatti ambientali.  


Proprio in questi giorni dalla Svizzera, nella regione del Lago di Costanza, arriva la seconda segnalazione di un sisma provocato dalle perforazioni per la costruzione di una centrale geotermica. Un episodio analogo era avvenuto nel 2006, a Basilea, riconducibile ai lavori per il progetto geotermico “Deep Heat Mining”. 
Nel nostro Paese, invece, uno studio condotto dai ricercatori dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e dall'Università di Napoli “fornisce uno strumento che permette di valutare gli effetti della sismicità indotta dallo sfruttamento geotermico e di valutare come la pericolosità vari nel tempo in funzione delle attività industriali, quali iniezioni o emungimento di fluidi“.

La signora Mariella Baccheschi -componente del coordinamento “Sos Geotermia”- mentre guarda la centrale “Bagnore 3” e disegna con le parole la mappa geotermica toscana da qui al 2024, è preoccupata per gli impatti sulla salute e sull’ambiente, sulla risorsa acqua (dagli anni Settanta sarebbero 200 miliardi i litri di acqua potabile utilizzati) e sulla qualità dell’aria. Sollecita la lettura di un volantino distribuito dal coordinamento: “Da uno studio epidemiologico Ars (Agenzia Regionale di Sanità della Toscana, ndr) nei comuni si registra un eccesso di mortalità rispetto ai comuni limitrofi, in media del +13,1% e del +13,7% in media rispetto all’intera Regione Toscana (+27,5% a Piancastagnaio, +18,7% a Castel del Piano, +13% ad Arcidosso)”.

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Una storia minima della geotermia in Italia

Era la metà degli anni Settanta, in piena crisi petrolifera, quando l'allora ministro dell'Industria, del commercio e dell'artigianato, Carlo Donat-Cattin, affidò ad Eni ed Enel l'esplorazione e lo sfruttamento esclusivo delle risorse geotermiche italiane per la produzione elettrica. Senz'altro non poteva immaginare che oggi avremmo assistito ad una corsa al fluido geotermico in un Paese che ha sempre più sete di energia. 
Secondo i dati forniti dal ministero dello Sviluppo economico -aggiornati al 30 giugno 2013- sono 948 i pozzi perforati per uso geotermico, 11 le concessioni di coltivazione in terraferma, 44 i permessi di ricerca vigenti in terraferma ed 1 permesso di ricerca in mare. 
Ai quali potrebbero aggiungersi un'altra concessione di coltivazione e ben 51 nuovi titoli minerari, compresi 10 progetti pilota. Dalla Toscana al Lazio, dalla Lombardia all’Umbria e alla Campania, dalla Sardegna alla Sicilia. Tutti regolamentati con un apposito Decreto legislativo (il numero 22 dell'11 febbraio 2010) previsto al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche: lo sfruttamento geotermico e le centrali connesse sono considerate strategiche dal punto di vista nazionale. Tanto da essere supportate da un piano varato nel 2011 ed incentivate con i certificati verdi, equiparando la geotermia alle fonti di energia rinnovabile in “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità” (D.lgs n.387 del 29 dicembre 2003, ndr). 
“Con il varo del Decreto legislativo n. 22 dell'11 febbraio 2010 -come sottolinea la Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche- vengono in particolare semplificate le regole per ottenere le autorizzazioni”.

Semplificazione e liberalizzazione che hanno fatto salire a 22 il numero delle società attive -compreso il colosso Enel-, intenzionate ed esplorare il territorio italiano su indicazione di uno speciale inventario del ministero dello Sviluppo economico -supportato da Cnr ed Enea- e sulla spinta dell'Unione europea, che ha finanziato il progetto Geoelec. Ovvero un sistema geografico informatizzato, unico nel suo genere, che stima il potenziale geotermico dei territori degli Stati membri da 1 a 5 chilometri di profondità. Una mappatura che oggi conferma la  Toscana come l'area con il maggiore potenziale, seguita dal Lazio, dalla Campania -con l'area dei Campi Flegrei-, dal Tirreno meridionale nell'area del vulcano sottomarino Marsili, dalla Basilicata con aree potenziali dal Vulture alla Val d'Agri, dal canale di Sicilia nell'area del vulcano sommerso Empedocle, Lampedusa e Pantelleria.

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