Pubblicato su Greenreport (vedi articolo originale)
Applicando un approccio simile a quello utilizzato per la scoperta di
nuovi farmaci, un team di chimici dell'Università di California - Davis
ha scoperto diversi composti che possono aumentare la produzione di
"petrolio" utilizzando microscopiche alghe verdi, una potenziale fonte
di biodiesel e altri combustibili "verdi".
Il lavoro, pubblicato
su Chemical Biology, analizza le proprietà delle microalghe, «Organismi
unicellulari che, come le piante verdi, utilizzano la fotosintesi per
catturare l'anidride carbonica e trasformarla in composti complessi,
compresi gli oli ed i lipidi». Alcune specie di alghe marine possono
essere coltivate in bacini di acqua salata e quindi, rispetto alle altre
coltivazioni "energetiche", non entrano in competizione per il suolo o
l'acqua dolce con le colture alimentari.
Una delle autrici dello
studio, Annaliese Franz, spiega: «Possono vivere nell'acqua salata,
utilizzano la luce solare e l'anidride carbonica come mattoni da
costruzione per produrre queste lunghe catene di olio che può essere
convertito in biodiesel».
La Franz e Megan Danielewicz, Diana
Wong, Lisa Anderson e Jordan Boothe hanno analizzato 83 composti in
quattro ceppi di microalghe per capire i loro effetti sulla produzione
di "petrolio" e ne hanno identificati diversi che potrebbero aumentare
la produzione di combustibile verde fino al 85%, senza diminuirne la
crescita.
Il team sottolinea che «Tra i composti più promettenti
ci sono antiossidanti comuni come l'epigallocatechin gallate, che si
trova nel tè verde, e il butilidrossianisolo (Bha), un conservante
alimentare comune».
I ricercatori californiani hanno effettuato
gli esperimenti di crescita in volumi di coltura fino a mezzo litro ed
hanno calcolato che alcuni dei prodotti chimici hanno analizzato
avrebbero già un efficace rapporto costo-beneficio in coltivazioni di
alghe realizzate in un bacino di 50.000 litri, inoltre, dopo che gli oli
sono stati estratti dalle le alghe, la biomassa che rimane può essere
riutilizzata per l'alimentazione animale o per altri usi.
Franz
che lavora all'UC Davis nel 2007, ha un background in chimica
farmaceutica e data l'attenzione che il campus dedica ai biocarburanti,
ha iniziato a pensare subito all''applicazione delle tecniche
"high-throughput" utilizzate per lo screening di nuovi farmaci, per la
ricerca di composti che potrebbero influenzare la produttività delle
microalghe. «L'idea - spiega la scienziata - è quella di ricercare
piccole molecole che possono avere effetto sul percorso metabolico in
una cellula. Attraverso la creazione di un gran numero di colture
cellulari e misurando una semplice lettura in ciascuna, è possibile fare
in breve tempo lo screen di un gran numero di composti diversi e
portare a casa quelli più promettenti. Il concetto di base viene dal
settore farmaceutico, ed è stato utilizzato per le cellule umane e
vegetali, il lievito, ma non molto per le alghe. Ci sono molti casi in
cui piccole molecole stanno avendo un effetto per curare una malattia,
quindi ha senso che, se si può interessare il percorso di una malattia
umana, si possa influenzare il percorso in una cella di alghe».
La
cosa sembra promettente, così tanto che ci sono già opzioni sui
brevetti e che la ricerca è finanziata dalla Chevron Technology Ventures
attraverso un accordo di collaborazione con UC Davis.
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