giovedì 11 aprile 2013

Petrolio dalle microalghe? Scoperti composti per realizzare biodiesel e combustibili "verdi"

Pubblicato su Greenreport (vedi articolo originale)

Applicando un approccio simile a quello utilizzato per la scoperta di nuovi farmaci, un team di chimici dell'Università di California - Davis ha scoperto diversi composti che possono aumentare la produzione di "petrolio" utilizzando microscopiche alghe verdi, una potenziale fonte di biodiesel e altri combustibili "verdi".
Il lavoro, pubblicato su Chemical Biology, analizza le proprietà delle microalghe, «Organismi unicellulari che, come le piante verdi, utilizzano la fotosintesi per catturare l'anidride carbonica e trasformarla in composti complessi, compresi gli oli ed i lipidi». Alcune specie di alghe marine possono essere coltivate in bacini di acqua salata e quindi, rispetto alle altre coltivazioni "energetiche", non entrano  in competizione per il suolo o l'acqua dolce con le colture alimentari.

Una delle autrici dello studio, Annaliese Franz, spiega: «Possono vivere nell'acqua salata, utilizzano la luce solare e l'anidride carbonica come mattoni da costruzione per produrre queste lunghe catene di olio che può essere convertito in biodiesel».
La Franz e Megan Danielewicz, Diana Wong, Lisa Anderson e Jordan Boothe hanno analizzato  83 composti in quattro ceppi di microalghe per capire i loro effetti sulla produzione di "petrolio" e ne hanno identificati diversi che potrebbero aumentare la produzione di combustibile verde  fino al 85%, senza diminuirne la crescita.
Il team sottolinea che «Tra i composti più promettenti ci sono antiossidanti comuni come l'epigallocatechin gallate, che si  trova nel tè verde, e il butilidrossianisolo (Bha), un conservante alimentare comune».
I ricercatori californiani hanno effettuato gli esperimenti di crescita in volumi di coltura fino a mezzo litro  ed hanno calcolato che alcuni dei prodotti chimici hanno analizzato avrebbero già un efficace rapporto costo-beneficio in coltivazioni di alghe realizzate in un bacino di 50.000 litri, inoltre, dopo che gli oli sono stati estratti dalle le alghe, la biomassa che rimane può essere riutilizzata per l'alimentazione animale o per altri usi.
Franz che lavora all'UC Davis nel 2007, ha un background in chimica farmaceutica e data l'attenzione che il campus dedica ai biocarburanti, ha iniziato a pensare subito all''applicazione delle  tecniche "high-throughput" utilizzate per lo screening di nuovi farmaci, per la ricerca di composti che potrebbero influenzare la produttività delle microalghe. «L'idea - spiega la scienziata - è quella di ricercare piccole molecole che possono avere effetto sul percorso metabolico in una cellula. Attraverso la creazione di un gran numero di colture cellulari e misurando una semplice lettura in ciascuna, è possibile fare in breve tempo lo screen di un gran numero di composti diversi e portare a casa quelli più promettenti. Il concetto di base viene dal settore farmaceutico, ed è stato utilizzato per le cellule umane e vegetali, il  lievito, ma non molto per le alghe. Ci sono molti casi in cui piccole molecole stanno avendo un effetto per curare una malattia, quindi ha senso che, se si può interessare il percorso di una malattia umana, si possa influenzare il percorso in una cella di alghe».
La cosa sembra promettente, così tanto che ci sono già opzioni sui brevetti e che la ricerca è finanziata dalla Chevron Technology Ventures attraverso un accordo di collaborazione con UC Davis.

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