venerdì 8 marzo 2013

L’Africa, la nuova frontiera del petrolio

Recenti studi indicano che la “dead end” delle riserve petrolifere mondiali arriverà fra una settantina d’anni. A rivelarlo sono gli scienziati dell’ente americano del Servizio Geologico degli Stati Uniti. Nel sottosuolo della Terra, infatti, ci sarebbero almeno 2 mila miliardi di barili di greggio pronti a essere estratti e raffinati.

Nonostante questo gli Usa stanno anche avviando, ormai da un po’ anni, un “piano B” energetico incentrato sull’estrazione di carbone, visto le enormi riserve stimate intorno ai 250 anni. I motivi di piani energetici alternativi al petrolio si nascondono anche nell’instabilità politica mediorientale e nella difficoltà di approvvigionamenti certi anche se, ed è bene ricordarlo, il fabbisogno degli Usa non arriva solo dai Paesi arabi (prima fra tutti, l’Arabia Saudita), bensì da Canada e Messico. Le tensioni create dopo l’11 settembre 2001 in Iraq, Iran e penisola araba hanno fatto impennare i prezzi del greggio che, da quel momento, hanno iniziato a diventare altalenanti e troppo ancorati agli avvenimenti geopolitici, come i moti rivoluzionari della cosiddetta “Primavera Araba”.
Una alternativa al petrolio arabo trova sbocco in Asia, in Russia, nelle ex repubbliche sovietiche e in Africa, oltre ai giacimenti statunitensi, che però ormai stanno esaurendosi. Tuttavia l’enorme ostacolo dei giacimenti asiatici risulta tutt’ora nell’estrazione, soprattutto per via del problema climatico. Questo scenario non ha fatto altro che far risalire le quotazioni dei giacimenti africani, che ormai sono diventati il nuovo scenario privilegiato per quel che riguarda l’estrazione del greggio. Fino a pochi anni fa, parlare di petrolio in Africa significava dire Nigeria, che fa parte dell’Opec e che detiene il 78% delle riserve mondiali. Oggi invece le cose sono cambiate, con nuovi attori spuntati all’orizzonte come Sudan e Angola. Inoltre, anche altri paesi si stanno evidenziando come ottimi partner energetici per l’estrazione, come il Gabon e la Guinea Equatoriale.
L’ultimo Stato africano a far capolino nel grande gioco energetico è stato lo Zambia, che è entrato prepotentemente come nuovo fornitore occidentale e asiatico. Trovandosi anni addietro in difficoltà, causa il crollo delle quotazioni del rame (materia prima di cui abbondava), lo Zambia sta rialzando la china grazie al greggio e sta addirittura mettendo in campo progetti di ricerca nel campo del gas naturale.
Per capire l’evoluzione del fabbisogno energetico mondiale di questi ultimi anni e il ruolo africano, può essere utile analizzare uno dei nuovi player mondiali: la Cina. Ormai Pechino per far fronte alla sua crescita esponenziale è diventata uno dei maggiori consumatori mondiali di oro nero. Nel 1980, la Cina produceva due milioni di barili al giorno consumandone uno. Gli ultimi dati invece ci rivelano che, nel 2009 e 2010, la Cina ha registrato una crescita della domanda di oltre il 12%, attestandosi a 9,4 milioni di barili al giorno. Cifre da capogiro.
Sono stati proprio i problemi mediorientali prima citati a spostare i cinesi in pianta stabile nel “continente nero”. E mentre l’Europa dipende in tutto per tutto dalla Russia e gli statunitensi stanno studiando approvvigionamenti energetici alternativi, i cinesi hanno ottenuto l’esclusiva nella ricerca e nell’estrazione in Nigeria, in compagnia della Shell e della nostra ENI, che opera in Ciad, Mauritania e Sudan.
La tattica di Pechino è molto semplice: nessuna interferenza con i regimi dittatoriali esistenti, sovvenzioni alla ricostruzione e investimenti nelle infrastrutture. In cambio, c’è sul piatto il monopolio dell’estrazione. La Cina per il momento controlla la metà dell’estrazione del petrolio sudanese e il 25% di quello angolano. Fra i primi dieci fornitori di greggio ai cinesi, a fianco dei colossi Arabi, figurano ben tre paesi africani. E mentre i territori arabi (soprattutto quelli più “occidentalizzati”), dall’alto delle loro ricchezze accumulate, possono decidere a chi e a quanto dare il loro greggio, l’Africa sta costruendo in questi ultimi anni la sua ricchezza, diventando molto accondiscendente riguardo l’elargizione della nuova materia prima.
Senza soffermarsi sulla redistribuzione di tale ricchezza e dei privilegi a essa correlati, ormai l’Africa è diventata il nuovo Medio Oriente dal punto di vista energetico. È proprio su questo scenario che si sta spostando il confronto economico fra l’arrugginito asse atlantico e il conclamato competitor rampante targato Pechino, in ottima compagnia di altri due nuovi “player”, Brasile e India.
Cosa comporterà a livello geopolitico ed economico tale spostamento? Difficile dirlo al momento, ma è certo che il continente africano sarà nei prossimi anni fattore decisivo per i futuri scenari geopolitici. Non solo quindi la corsa al nucleare dei Paesi mediorientali (vedi l’Iran) e i fatti rivoluzionari recenti che stanno attraversando il Middle East: nello scacchiere mondiale, c’è in gioco il nuovo “supermarket” africano, l’ultima oasi disponibile in mezzo al deserto.

Fonte Libertiamo

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